lunedì 25 maggio 2009

Libia e migranti

Da giorni le prime pagine dei giornali sono riempite dalla questione immigrazione e dal pasticciaccio brutto dei migranti-naufraghi riaccompagnati a Tripoli.Siamo in (perenne) campagna elettorale ed ogni parte politica tende a sfruttare questa vicenda ai propri fini. E questo è normale, anche se si compie sulla pelle della gente. Quello che mi dà fastidio è che le dichiarazioni dei nostri politici non tengono in nessun conto il nostro diritto ed i cittadini, sentendo questo o quel politico, apprendono di avere un diritto ed una normativa sempre diversaLa confusione resta sovrana.Per mia esperienza personale e lavorativa, più che spesso mi sono occupato del fenomeno e, in tutta sincerità, sono veramente arrabbiato che problemi così dolorosi vengano usati solo per ostacolare la controparte politica e gettar fango sulle più alte istituzioni, come il Presidente della Repubblica.Siamo uno stato di diritto (ancora) e con il nostro diritto, con le nostre leggi bisogna cercare di affrontare gli eventi.Prima di tutto, in questa vicenda, si è spesso parlato a sproposito di “asilo politico” che c’entra molto poco. L’asilo politico esiste solo per l’articolo 10 della Costituzione, mai attuato (tranne che, in via giudiziaria, per Ocalan) e non più attuabile per via delle direttive europee recepite che trattano di “rifugiato” e di “protezione sussidiaria”.La differenza non è di poco conto. La tutela prevista dall’articolo 10 (impedimento dell’effettivo esercizio delle libertà democratiche riconosciute) è ben più ampia di quella riconosciuta per lo status di rifugiato (fondato motivo di esser perseguitato per motivi di razza, religione, nazionalità, appartenenza a gruppo sociale o politico) o per la protezione sussidiaria (fondato timore, per stati di guerra , violenze diffuse etc, di temere per la propria vita).Anche i respingimenti non c’entrano alcunché. L’articolo 10 del T.U. immigrazione (non modificato dalla cd. Bossi-Fini) prevede che la Polizia di frontiera respinga ai valichi di frontiera gli stranieri che non hanno diritto ad entrare nel territorio nazionale. E’ vero che i respingimenti – come ha correttamente commentato Vittorio Longhi su Repubblica del 9 maggio – non si applicano nei casi di richiesta di asilo. Ma per esser disapplicata la disposizione deve riguardare un respingimento non qualcosa che un respingimento non è, in quanto manca l’elemento fondate del respingimento che è la frontiera e di qualcuno che sta per entrarvi. Anche per l’Unione europea (piano di azione rimpatri del 2003) respingimento è il “rifiuto di ingresso in uno Stato”.Neppure l’intervento della motovedetta della Guardia di Finanza che ha riportato i “migranti” a Tripoli può esser inquadrato nella lotta all’immigrazione clandestina in quanto, se così fosse, per l’articolo 12 del T.U. immigrazione, commi 9bis-9quater, introdotti proprio dalla Bossi-Fini, i migranti avrebbero dovuto esser ricondotti “in un porto dello Stato” .Quello che in acque internazionali è successo (anche se la competenza per la Convenzione di Amburgo del 1979 avrebbe dovuto essere di Malta) è una operazione di soccorso in mare (c’era stata una specifica richiesta) regolata dalla Convenzione UNCLOS entrata in vigore nel 1994 che al suo articolo 98 impone agli Stati “che il comandante di una nave che batte la sua bandiera, nella misura in cui gli sia possibile adempiere senza mettere a repentaglio la nave, l’equipaggio o i passeggeri:a) presti soccorso a chiunque sia trovato in mare in condizioni di pericolo; b) proceda quanto più velocemente possibile al soccorso delle persone in pericolo, se viene a conoscenza del loro bisogno di aiuto, nella misura in cui ci si può ragionevolmente aspettare da lui tale iniziativa; c) presti soccorso, in caso di abbordo, all’altra nave, al suo equipaggio e ai suoi passeggeri e, quando e`possibile, comunichi all’altra nave il nome della propria e il porto presso cui essa e` immatricolata, e qual e` il porto più vicino presso cui farà scalo.”.Visto che la normativa italiana prevede che lo status di rifugiato si concede solo in frontiera o sul territorio italiano (decreto legislativo 28 gennaio 2008, n. 25) e che la nave itlaiana in mare è territorio italiano (art. 4 codice della navigazione e art. 93 Convenzione UNCLOS) si è detto che il Comandante avrebbe dovuto accogliere le domande di protezione di voleva sottoporle e riportare indietro i richiedenti. Ipotesi di scuola, questa, ed inapplicabile. Si pensi solo cosa avrebbe comportato per la sicurezza della nave la rabbia degli esclusi. Persone che hanno affrontato il deserto, la detenzione, gli stenti si sarebbero fermati di fronte ad un gentile diniego? Quindi il comandante non poteva accogliere le domande di protezione, così come non possono accoglierle le nostre Ambasciate all’estero che pure territorio italiano sono.Si è anche sostenuto che, una volta rientrati a Tripoli, gli aventi diritto alla protezione avrebbero potuto chiederla alla Libia, ma la Libia non ha mai sottoscritto la Convenzione di Ginevra, ovvero esser posti sotto la protezione delle Nazioni Unite che avrebbero poi chiesto “all’Italia” di riprendersi gli aventi diritto alla protezione. Ma qui entriamo nell’ ambito del resettlment che presuppone non solo un impegno in prima persona delle Nazioni Unite, ma anche di più Paesi disposti all’accoglienza. E’ stato usato per sistemare i profughi provenienti dall’Afghanistan e dall’Irak, ma proprio perché la scrematura on è avvenuta in uno Stato che avrebbe dovuto poi accogliere il profugo, ci fu bisogno di un preventivo accordo fra i Paesi partecipanti sul numero di persone che ognuno avrebbe accolto. E qui i silenzi son ben più dei proclami di solidarietà.Se quel che ho scritto è vero, e non ho ragione di dubitarne, il Governo italiano, rinviando a Tripoli quelli che tecnicamente sono naufraghi non ha violato alcun diritto, né interno, né internazionale. Certo, poteva fare di più, poteva considerare Tripoli (come ha considerato Malta) “porto non sicuro per la navigazione e per l’imbarcazione” e riportate tutti indietro, ma era un di più del semplice dovere.Purtroppo il grosso guaio è costituito dall’inadeguatezza delle norme in materia.Si partì nel 1951 con la Convenzione di Ginevra che gli Stati potevano sottoscrivere con la famosa “limitazione geografica” limitando la concessione dello status di rifugiato ai richiedenti che provenivano da una ben determinata zona del mondo assegnata all’influenza sovietica nel dopo-Yalta (quello sì che era un vero e proprio asilo politico). Passando per l’eliminazione della “zona geografica” e cogliendo l’ultimo refolo del Vento di Tampere del 1999, l’Unione Europea si è data una normazione molto stringente: fra chi è perseguitato per ragioni di religione etc e chi scappa da “stati di violenza diffusa” si calcola che oltre un miliardo di persone possano legittimamente aspirare alla protezione internazionale offerta dall’Unione europea. Ben si spiega quindi la forte riluttanza a farli entrare nei propri confini. La riluttanza è tanto più forte nei Paesi meridionali dell’Unione in quanto – e pochi lo sanno – la normativa comunitaria (Regolamento di Dublino) obbliga il Primo stato di approdo del richiedente ad esaminare la sua domanda di protezione e di accoglierlo sul proprio territorio. Insomma, dove arrivano, lì rimangono. E visto che i flussi provengono da sud..... In questo il Governo ha ragione a chiedere a gran voce all’Europa di farsi carico del fenomeno dei disperati in arrivo, ma – per esperienza vissuta- gli stati nordici si girano dall’altra parte.Un’ultima cosa mi lascia alquanto sconcertato: la facilità con cui si mistificano i trattati internazionali. Si è fatto un gran parlare di “pattugliamento congiunto” italo libico sulle coste del Paese africano per evitare la partenza dei barconi di migranti.Di pattugliamento congiunto nei trattati italo libici non ce ne è traccia.Non in quello del 2000, sottoscritto da Dini, dove si da atto di generica collaborazioneNon in quello del 2007, sottoscritto da Amato, ove è specificato che il personale di polizia italiano avrà compito “di addestramento, formazione, di assistenza tecnica all’impiego e manutenzione dei mezzi” e si ridurrà di numero non appena verranno fornite le motovedette italiane alla Libia.Non in quello del 2007 sottoscritto dal Capo della polizia Manganelli ove si specifica che in nessun caso le motovedette ceduta alla Libia potranno intraprendere missioni operative con personale italiano.Non quello del 2008, sottoscritto da Berlusconi, ove il contrasto all’immigrazione occupa il solo articolo 19 in una generica riaffermazione degli accordi precedenti.Tutto il clamore suscitato è solo un grosso spot elettorale senza alcun riferimento normativo e senza neppure costrutto, visto che l’impatto migratorio con i barconi costituisce solo il 16% del flusso migratorio irregolare stimato in Italia.

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