domenica 19 luglio 2009

Brunetta, Sacconi e le pensioni

Ci risiamo. Quando, tanti anni fa, entrai nella grande famiglia degli impiegati statali, questi potevano andare in pensione con una anzianità di 19 anni, sei mesi e un giorno di anzianità contributiva.
Oggi è diverso. Con il groviglio di età anagrafica, anzianità contributiva e di "finestre" l'età per poter godere di una pensione si sposta di molto in avanti. Puo' esser giusto. Se una volta - vedi l'incipit di "lo smemorato di Collegno" a 40 anni si era anziani, oggi l'aspettativa di vita attiva si è di molto allungata. Pagare contributi per 35/40 anni e avere la pensione per altri 30 puo' esser molto gravoso per le casse dello Stato. Ed ecco che viene annuciato che di qui a qualche anno la possibilità di chiedere il collocamento a riposa potrà slittare in avanti secondo l'aspettativa di vita. Ragionamento coerente.
Ma nello stesso Governo, specialmente per il settore pubblico, c'è un atteggiamento contrario.
I dipendenti pubblici con 40 anni di servizio, e, ora di contributi, possono a discrezione delle Amministrazioni esser messi a riposo indipendentemente dall'età anagrafica.
E non è tutto. Con il consenso dell'Amministrazione, i dipendenti pubblici con 35 anni di contributi possono chiedere di esser messi a riposo percependo il 50% della pensione (il 70% se prestano attività di volontariato) ma con la certezza che, dopo altri 5 anni, potranno percepire il 100% del trattamento pensionistico.
Ma allora, mettetevi d'accordo. Si deve andare in pensione più tardi per far risparmiare lo Stato o più presto per creare nuovi posti di lavoro?

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